«Abbiamo fatto germinare le nostre idee per imparare a sopravvivere in mezzo a tanta fame, per difenderci da tanto scandalo e dagli attacchi, per organizzarci in mezzo a tanta confusione, per rincuorarci nonostante la profonda tristezza.
E per sognare oltre tanta disperazione.»


Da un calendario inca degli inizi della Conquista dell'America.
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Le leggi sull'aborto in America Latina

Nella puntata di Latinoamericana del 19 maggio scorso - la cui videoregistrazione è disponibile alle nostre pagine Facebook  e YouTube -, Ludovica Costantini ha tracciato un panorama delle legislazioni latinoamericane in materia di interruzione di gravidanza. Per chi volesse approfondire il tema, pubblichiamo una sintesi del suo intervento; inoltre, a questo link, trovate le slide create dall'Autrice.

In America Centrale e del Sud la panoramica del diritto di accesso alla pratica abortiva è molto ampia e complessa: si passa dalla totale criminalizzazione dell’aborto a delle timide aperture da parte di alcuni Paesi. Lo scopo di questa breve presentazione è di offrire appunto un quadro generale sulla legislazione in materia di interruzione volontaria di gravidanza, prendendo in particolare considerazione i casi più esemplificativi.

Si può iniziare dall’Argentina, dove grazie al movimento della Marea Verde, il Senato ha approvato la legge 27.610 che regola il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza. Entrata in vigore nel gennaio 2021, questa norma prevede la depenalizzazione dell’aborto fino alla quattordicesima settimana di gestazione. Prima di questo momento l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza era regolato da una legge del 1921 che prevedeva la criminalizzazione della pratica, tranne in determinati casi come il pericolo di vita e salute per la gestante, o se la gravidanza fosse conseguenza di una violenza sessuale.

L’Argentina è il terzo Paese ad approvare una legge del genere, dopo Cuba e l’Uruguay, e questa grande vittoria si deve al movimento femminista della Marea Verde. Già il nome della campagna delle donne mostra tutte le rivendicazioni base che in Argentina hanno portato nelle piazze: la Campaña por el Derecho al Aborto Legal, Seguro y Gratuito viene lanciata ufficialmente nel 2005 e chiede l’aborto legale, per riconoscere i diritti sessuali e riproduttivi delle donne; l’aborto sicuro, per non morire a causa degli aborti clandestini; e l’aborto gratuito, affinché non diventi un privilegio di classe riservato alle donne più ricche.

L’Argentina ha avuto quasi il ruolo di apripista nel riconoscimento del diritto all’aborto, e alcuni Paesi hanno seguito le sue orme: uno di questi è la Colombia, che riconosce il diritto delle donne di ricorrere alla pratica abortiva fino alla ventiquattresima settimana di gravidanza. Questo riconoscimento deriva da una sentenza della Corte Costituzionale colombiana di febbraio che ha ribaltato la normativa precedente: prima di questo momento l'aborto era legale soltanto in caso di incesto, stupro, o rischio per la vita della madre; fuori dai casi previsti dalla legislazione era punibile con la reclusione della gestante.

Il passo avanti compiuto dalla Colombia risulta particolarmente significativo se a questa consapevolezza si fanno ricondurre i dati sul Paese: i gruppi per i diritti riproduttivi stimano che ogni anno in Colombia vengano praticati fino a 400.000 aborti, di cui solo il 10% legalmente. Inoltre, com’è visibile dal grafico presente nella slide, ad una oscillazione piuttosto sensibile dei tassi di gravidanze indesiderate - che rappresentano il principale fattore di ricorso all’aborto - non sono corrisposte oscillazioni altrettanto sensibili nei tassi di aborti: questo indica chiaramente che il Paese è a priori un’area dove le donne ricorrono alla pratica abortiva.

Com’è stato specificato, in America Latina ci sono casi estremi da un lato e dall’altro: se ci sono Paesi come l’Argentina o la Colombia dove le donne godono del diritto all’aborto, ce ne sono allo stesso modo altri in cui le donne devono ricorrere ad aborti clandestini o sono costrette a portare a termine la gravidanza. Tra questi vale la pena citare innanzitutto il caso di El Salvador, Paese che nelle ultime settimane è stato oggetto di forti critiche dopo che una donna è stata condannata a 30 anni di carcere per un aborto spontaneo. La legislazione del paese centroamericano, adottata nel 1998, è infatti una delle più rigide in materia di aborto, proprio perché considera la pratica illegale in qualsiasi caso.

Purtroppo, El Salvador non è l’unico Paese a prevedere pene per le donne che ricorrono all’aborto: ci sono infatti anche Haiti, Honduras, Nicaragua e Repubblica Dominicana. Il problema principale nei paesi con leggi restrittive sull'aborto è che le donne con poche risorse ricorrono pratiche di aborto non sicure, o si auto-inducono esse stesse l’aborto con metodi non sicuri. In questi casi, c'è un alto rischio di aborto incompleto, infezione, perforazione uterina, infiammatoria pelvica, emorragia o altre lesioni interne che possono portare alla morte e/o all’infertilità. Proprio il rischio di queste complicazioni rende importante per le donne poter ricevere un'adeguata assistenza post-aborto, che possono aiutare a ridurre la mortalità materna da aborto non sicuro.

L’8 marzo 2022 è stata inoltre approvata una nuova legge dal Congresso del Guatemala: il Paese ha aumentato le pene detentive per le donne che abortiscono prevedendo fino a 10 anni di carcere. In questo modo il Guatemala diventa il secondo paese, dopo El Salvador, con le leggi più restrittive sull’aborto.

Oltre i casi citati, si può dire che in generale l’aborto nel Sud del continente americano sia concesso solo in determinati casi, come quello di gravidanza frutto di uno stupro, o di un incesto, oppure nel caso in cui questa rappresenti una minaccia per la vita della gestante o nel caso in cui il feto presenti gravi malformazioni incompatibili con la vita.
Sono ancora molti i Paesi con leggi fortemente restrittive e che non hanno programmi di apertura, come ad esempio l'Honduras e la sua “legge scudo”. Come è stato indicato precedentemente, il Paese criminalizza il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza, ma un successivo step verso la chiusura nei confronti dei diritti delle donne è stato effettuato con l’approvazione della cosiddetta “legge scudo”, con cui si rende necessaria la maggioranza di tre quarti dei membri del Parlamento per modificare l'articolo della Costituzione in cui viene regolato l'accesso alla pratica abortiva.

Ma allo stesso tempo luci di speranza ancora brillano in Sud America: dal Cile di Boric le prospettive sono positive. Fino al 2017 nel Paese l’interruzione volontaria di gravidanza era penalizzata in tutti i casi, mentre adesso la pratica è accessibile entro le prime 12 settimane di gestazione, o nel caso in cui la gestante rischi la vita. E ad oggi, con il processo costituzionale in corso, si parla di inserire il diritto all’aborto addirittura nella nuova Magna Carta del Paese.

L’America Latina è per molti punti di vista una regione giovane, in costruzione, che ha ancora tutto da conquistare: questo le donne sudamericane lo sanno bene. Hanno insegnato al mondo la lotta femminista, e la strada che manca non fa paura se si guarda ai progressi che sono stati fatti. Il futuro è ancora tutto da disegnare, ma in Sud America è in mano alle donne.

 

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