«Abbiamo fatto germinare le nostre idee per imparare a sopravvivere in mezzo a tanta fame, per difenderci da tanto scandalo e dagli attacchi, per organizzarci in mezzo a tanta confusione, per rincuorarci nonostante la profonda tristezza.
E per sognare oltre tanta disperazione.»


Da un calendario inca degli inizi della Conquista dell'America.
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NICARAGUA / La caduta di Alemán: nuovi scenari politici

Anche se non si apprezzano sostanziali miglioramenti rispetto ai gravi problemi strutturali del paese, né si siano affacciati volti nuovi sulla scena, non v’è dubbio, tuttavia, che il panorama politico in Nicaragua sia cambiato parecchio negli ultimi mesi. La “caduta in disgrazia” dell’ex presidente Arnoldo Alemán, dopo oltre un decennio di apparentemente irresistibile ascesa, ha impresso nella memoria collettiva immagini difficilmente cancellabili: dapprima, la rocambolesca “defenestrazione” di Alemán operata dal parlamento il 12 dicembre 2002; quindi, la condanna per corruzione, inflittagli il 22 dello stesso mese; infine, i discussi arresti domiciliari concessigli da giudici, forse, un po’ troppo compiacenti. Il 2003 si apre, così, all’insegna di profondi mutamenti negli equilibri politici nel Paese e, di conseguenza, della ricerca, sempre tesa e affannosa, di un riaccomodamento nelle alleanze. Vediamo come e con quali prospettive.

Di Marco Cantarelli, su note di envío.

Il 12 dicembre scorso, con 47 voti a favore e 45 contro, l’Assemblea Nazionale nicaraguense ha tolto l’immunità parlamentare all’ex presidente della Repubblica, Arnoldo Alemán. L’inedita maggioranza risulta composta dai 38 deputati dell’Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN), formalmente all’opposizione, più un drappello di eletti nelle fila della destra – conservatori, ex contras, evangelici e transfughi del Partito Liberale Costituzionalista (PLC) – ma vicini al neopresidente Bolaños, anch’egli di destra; dall’altra parte, l’ex maggioranza dei deputati del PLC, rimasti fedeli all’ex presidente.
Invero, da mesi, il parlamento monocamerale nicaraguense era teatro di tentativi di desaforar Alemán, spesso vanificati nelle forme più curiose e sospette: nel settembre scorso, ad esempio, un deputato della maggioranza di destra, dopo aver annunciato che avrebbe votato a favore della “autorizzazione a procedere” nei confronti di Alemán, si era improvvisamente sentito male in quel di Miami a causa di una scorpacciata di frutti di mare fatta la sera prima...
Stavolta, il marchingegno istituzionale, nel Paese dove la realtà ormai supera la fantasia e per capire la politica è bene munirsi di un manuale di psichiatria, non è stato meno eclatante: una deputata, Delia Arellano, eletta dalla formazione politica Cammino Cristiano, vicina al movimento evangelico nicaraguense ed alleata del PLC di Alemán, si è assentata, senza giustificazione, per oltre 21 giorni dai lavori parlamentari. Secondo la legge, è scattata quindi la sua sospensione ed al suo posto è stato chiamato il suo “supplente” – ogni deputato in Nicaragua ne ha uno –, Mariano Salazar, uno sconosciuto pastore evangelico, il quale ha aggiunto il proprio voto alla richiesta di revocare l’immunità parlamentare ad Alemán.
Di conseguenza, una volta notificata formalmente la decisione al tribunale di Managua, le due magistrate, Juana Méndez ed Ileana Pérez, che indagano su alcuni casi di corruzione – fra gli altri (vedi bollettini scorsi), ingenti quantità di denaro pubblico finite su un conto bancario intestato ad una fantomatica Federazione Democratica Nicaraguense, con sede a Panamá, i cui intestatari sono lo stesso Alemán e sua figlia María Dolores, nonché Byron Jerez, fedelissimo del primo e attualmente in carcere –  hanno emesso un mandato di cattura nei suoi confronti. Quindi, il 22 dicembre, la condanna, con la concessione però degli arresti domiciliari per l’ex presidente: una decisione che ha suscitato notevole sconcerto nell’opinione pubblica. Per molti, infatti, si tratta di un privilegio del tutto gratuito ed immeritato. E grande è la delusione fra la gente nei confronti, soprattutto, della giudice Pérez, che mai ha nascosto la sua simpatia politica sandinista, ed in particolare danielista. Il provvedimento è stato giustificato in vari modi: per garantire la sicurezza dello stesso Alemán, dal momento che in carcere potrebbe rimanere vittima di aggressioni; in base al suo status di  ex presidente, che gli farebbe meritare tale trattamento di riguardo; per ragioni di salute, esibendo un certificato medico che asserisce che Alemán può farsi il bagno solo grazie ad una protesi, avendo patito la poliomelite da piccolo.
Nel tentativo, quindi, di limitare quelli che agli occhi dei più apparivano dei privilegi ingiustamente concessi ad Alemán, le due giudici hanno finito però, paradossalmente, per attizzare ancor di più le polemiche, ordinando al reo di non sostare per più di due ore al giorno nell’area della sua piscina privata!
Tant’è: Alemán vive ora al chiuso e al riparo nella sua grande hacienda del Crucero, nei pressi di Managua, vigilato da una novantina di agenti, divisi in tre turni, il che suppone tra l’altro una spesa non indifferente per le esangui casse pubbliche.
Dalla sua casa, comunque, Alemán non ha certo smesso di agitarsi. Se tace pubblicamente – ogni comunicazione telefonica ed elettronica gli è stata interdetta, mentre sono stati posti sotto controllo anche i telefoni cellulari della casa –, egli continua ad orientare le mosse dei suoi fedelissimi tramite le persone che lo vanno a visitare, mentre sua moglie, María Fernanda, si è messa alla testa di un sedicente Comitato per la Difesa dei Diritti Umani di Arnoldo Alemán.
Secondo fonti attendibili, del resto, la misura cautelare comminata ad Alemán sarebbe, in realtà, frutto di un accordo fra il presidente Bolaños e il leader sandinista Daniel Ortega: il primo interessato a non inimicarsi troppo i deputati arnoldistas, impegnato com’è nel tentativo di traghettarli nel suo nuovo gruppo parlamentare Azul y Blanco (bianco-azzurro, dai colori della bandiera nica); il secondo, per fare un favore a Bolaños e al contempo ad Alemán, con il quale l’FSLN strinse un discusso Patto politico-economico quando Alemán era presidente della Repubblica.
Emblematici in questo senso sono stati il silenzio del presidente Bolaños e un commento dello stesso Ortega sulla concessione degli arresti domiciliari ad Alemán: «Come sandinisti, abbiamo detto che dobbiamo essere implacabili nella lotta e generosi nella vittoria, e non si tratta di far legna di un albero caduto...».
Ortega sembra, dunque, aver aggiunto un tassello alla sua strategia: privato Alemán del ruolo istituzionale di presidente dell’Assemblea, dopo averlo confinato politicamente nella sua abitazione, ora il segretario dell’FSLN può condizionare Bolaños, per il quale la figura di Alemán era ormai troppo ingombrante, e può negoziare con il presidente nuovi equilibri politici e di potere. Non va dimenticato, infatti, che sul capo dello stesso Bolaños pende l’accusa di aver fruito, almeno indirettamente, dei fondi dirottati dalle casse pubbliche alla citata fondazione, per finanziare la campagna elettorale del PLC.
In tal senso, tutto lascia presagire che la “lotta contro la corruzione”, ispirata anche dalla nuova politica estera di Washington, sia destinata a conoscere una battuta di arresto in Nicaragua: una volta colpito il simbolo di quel malcostume, il personaggio che in pochi anni è riuscito ad accumulare una ricchezza, forse, persino superiore a quella sottratta ai nicaraguensi dalla dinastia dei Somoza in mezzo secolo di potere, è forte la sensazione nell’opinione pubblica che difficilmente l’opera di risanamento etico e finanziario dello Stato, voglia, possa o riesca ad andare oltre. Anche se, invero, è possibile, oltre che auspicabile, che il “castigo esemplare” possa intimorire i “pesci più piccoli”, dissuandendoli “d’ora in avanti” dal continuare a rubare sfacciatamente. Ma per quanto riguarda il passato, è del tutto probabile che molti corrotti riusciranno a farla franca: non restituiranno un córdoba, né faranno un giorno di carcere. Con le conseguenze che si possono immaginare sul piano dell’etica politica e del funzionamento dello Stato.
Nonostante Alemán sia, dunque, in grado di continuare a tessere trame politiche mentre si dondola sulla sua amaca a bordo piscina, non c’è dubbio che con il 12 dicembre scorso si sia voltata una pagina di storia politica in Nicaragua. Paradossalmente, forse è proprio la resistenza di Alemán ad accettare la sconfitta e farsi da parte a spingere gli altri protagonisti della scena politica nicaraguense ad accelerare el cambio. Nei fatti, anche qualora Alemán risultasse assolto in ultimo grado, o venisse indultato o amnistiato di qui a qualche tempo, a seguito di surrealistiche evoluzioni della politica nicaraguense, peraltro possibili, o ancora riuscisse a riparare – “andare in esilio”, direbbe probabilmente l’interessato – in Guatemala, in ragione del suo status di deputato al Parlamento Centroamericano e forte di una sentenza in tal senso della Corte Interamericana di Giustizia, oggi appare difficile immaginare un suo ritorno, per di più trionfale, sulla scena politica; ancora più remota appare una sua candidatura alla presidenza della Repubblica nel 2005, che mai ha fatto mistero di desiderare ardentemente.
Politicamente fuorigioco, prevedibilmente Alemán continuerà però a figurare nell’agenda negoziale fra arnoldistas e bolañistas: essendo l’unificazione della “famiglia liberale” sotto le bandiere del PLC una delle priorità degli Stati Uniti per la quale hanno esercitato notevoli pressioni in passato su Bolaños e i suoi, gli arnoldisti faranno di tutto per alleviare il “castigo esemplare” inflitto al loro amato capo; la concessione degli arresti domiciliari per Alemán è, probabilmente, solo il primo passo in questo senso. Tuttavia, nel prossimo futuro, nuovi e più pesanti condizionamenti, soprattutto in sede parlamentare, potrebbero rendere la vita ancor più difficile alla presidenza Bolaños.
Dopo il 12 dicembre, i fedelissimi di Alemán hanno lanciato numerose offerte di collaborazione al governo, il quale finora ha reagito con il silenzio o con commenti da cui traspare il rifiuto di dar vita ad un “arnoldismo senza Arnoldo”. Lo “zoccolo duro” del PLC considera Bolaños un imprenditore con solide radici nell’oligarchia del paese e per storia politica più vicino al partito conservatore che a quello liberale, seppur di destra; prova ne sarebbe il fatto che Bolaños si è circondato di tecnocrati ed imprenditori provenienti da quel mondo conservatore, così lontano dalla base sociale del PLC.
Non solo: Bolaños è “accusato” – e da che pulpito! – di aver stretto un patto con Daniel Oretega. Per vanificare il quale,  forti di quei 45 voti che ancora controllano in parlamento, uno dei centri di potere di cui Bolaños non può fare assolutamente a meno per reggersi al governo, gli arnoldisti chiedono oggi al presidente, in primo luogo, di concedere loro più spazi nel governo della cosa pubblica, ed in secondo, di rompere l’alleanza con l’FSLN, convinti che quest’ultimo conceda al primo di stare al governo, ma non al potere.
Del resto, le menti più “illuminate” del PLC sanno perfettamente che qualora le varie fazioni liberali di destra non riuscissero a riunificarsi, spianerebbero la strada ad una vittoria elettorale dell’FSLN, coronando così i sogni di rivincita di Daniel Ortega.
Resta, dunque, da vedere se saranno più i deputati arnoldisti a spostarsi sulle posizioni di Bolaños o quest’ultimo a riavvicinarsi alle posizioni dei primi, accogliendo almeno parzialmente le loro richieste.
Nel frattempo, finché il presidente non riuscirà a portare dalla sua parte un più consistente gruppo di deputati, cosa peraltro non facile dal momento che lo stesso Alemán ha scelto con estrema cura i candidati al parlamento del suo partito assicurandosi da loro un consenso incondizionato, ago della bilancia resterà in questa fase l’FSLN, i cui deputati non sono da meno quanto a fedeltà al loro leader Daniel Ortega.
In breve, la nuova maggioranza parlamentare manifesta tutta la sua fragilità nel suo insieme e al suo interno, e il nuovo quadro politico appare lungi dall’essersi assestato.
Tuttavia, per Bolaños non sembrano esserci alternative: per continuare a erodere la base parlamentare di Alemán, egli ha bisogno di tempo, durante il quale la stabilità del suo governo e l’attività legislativa dipenderanno molto, a dir poco, dall’atteggiamento che assumerà di volta in volta l’FSLN. Tuttavia, con Alemán fuori da quel parlamento che pretendeva di controllare e persino dirigere di persona, al punto da “autoattribuirsi” un seggio per legge, ma al di fuori di ogni regola democratica, una volta scaduto il suo mandato di presidente, per Bolaños le cose si annunciano più facili di ieri.
Comunque vadano le cose, la tripolarizzazione politica fra liberali arnoldistas e bolañistas, e sandinisti dell’FSLN, che ha dominato la scena nel 2002, tende a scemare e a riaccomodarsi in base a nuovi rapporti di forza. Di più: lo stesso bipartitismo imposto dal patto PLC-FSLN sembra essere entrato (definitivamente?) in crisi: tanto che il 21 gennaio – mentre chiudiamo il numero  – giunge notizia di una risoluzione della Corte Suprema di Giustizia, che annulla la cancellazione di ben 26 partiti, fra nazionali e regionali, misura scandalosamente presa e spudoratemente funzionale  al citato disegno.
Anche se è presto per darlo per assodato, ciò sembra preludere alla “fine” del “patto” stipulato fra Ortega e Alemán. Ne consegue che “tutto” è di nuovo in discussione: in politica come in economia. E già si annunciano scintille sul bilancio di previsione per il 2003, dopo la firma di un accordo fra governo e Fondo Monetario Internazionale (su cui torneremo nei prossimi numeri). Per non dire sui temi politici: dalla legge elettorale, con la questione caliente della “non rielezione” di chi è già stato presidente, alla distribuzione – leggi: spartizione – degli incarichi in tutti gli ambiti politico-istituzionali.
Se a tutto ciò si aggiunge la crisi nei rapporti fra governo e gerarchia cattolica, altra novità di questo scenario di cui parliamo nell’articolo a lato, il 2003 sembra destinato a riservare altre sorprese.

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