COSTA RICA / Notiziario
Elezioni: qualche novitàI risultati delle elezioni di Febbraio ed Aprile 2002 hanno avuto il segno dell’eccezionalità storica nel contesto della democrazia liberale costaricense. Per la prima volta nella storia del paese, il presidente non è stato eletto al primo turno, non avendo ottenuto il 40% dei voti, come stabilisce la Costituzione. Al secondo turno, Abel Pacheco, del Partito di Unità Social Cristiana (PUSC, in pratica la locale DC, ndr), ha comunque prevalso sul candidato del Partito Liberazione Nazionale (PLN, storicamente di tendenza socialdemocratica, ndr) Rolando Araya: 58% contro 42%.
Inoltre, per la prima volta negli ultimi decenni è emersa una terza forza politica, il Partito di Azione Civica, che non esisteva prima di quest’ultima congiuntura elettorale, in grado di competere con i due partiti tradizionali che hanno governato il paese negli ultimi decenni, il PLN e il PUSC. Al primo turno, il PAC ha ottenuto il 26,14% dei voti, il PLN il 31,05% e il PUSC il 38,5%.
Per la prima volta, quindi, nessuna delle due tradizionali forze politiche conta in parlamento su una maggioranza semplice; ma, PLN e PUSC nemmeno insieme raggiungono la maggioranza qualificata. Il PUSC vanta, infatti, 19 deputati, il PLN 17, il PAC 14, il Partito Libertario 6, il Partito del Rinnovamento Costaricense – una forza minore di tendenza conservatrice – 1 deputato. Ciò fa sì che le principali di queste forze debbano puntare ad alleanze per portare avanti la propria politica, mentre sono in grado di neutralizzare le iniziative delle altre.
Tradizionalmente, l’astensionismo è sempre stato intorno al 20%; nel 1998, tuttavia, era salito al 30%. Nelle recenti elezioni, ha sfondato per due volte consecutive quel “tetto” storico, raggiungendo il 31,6% al primo turno, cui si aggiunge un 2,5% di voti nulli o bianchi, e quindi, al secondo turno, il 39%, cui si somma un 2% di voti nulli o bianchi. Da ciò ne consegue che un 41% dell’elettorato costaricense non ha votato per alcun candidato, un “blocco” elettorale che supera in voti il candidato vincitore Abel Pacheco (34,1%).
In un paese dove i governanti hanno sempre ricevuto un forte sostegno dall’elettorato, il governo del neopresidente eletto si annuncia fragile e obbligato a negoziare con quattro distinti gruppi parlamentari per far passare i suoi progetti di legge.
Un nuovo “fronte etico”Nato solo pochi mesi fa, cresciuto nella congiuntura preelettorale, il PAC si è presentato come un “fronte etico” raggruppato intorno alla figura del suo fondatore e massimo dirigente, Ottón Solis, il candidato forse più coerente nella campagna elettorale.
Economista proveniente dalle fila del PLN, Solís è stato ministro di Pianificazione e, quindi, deputato di tale partito. Durante l’amministrazione di Oscar Arias (1986-90), Solís si dimise da ministro per dissenso dai programmi di aggiustamento strutturale. Da deputato era solito rifiutare i regali – quasi sempre per niente simbolici... – che in occasione del Natale l’impresa privata è solita fare ai parlamentari. Solís li restituiva sempre con una nota che recitava: «Molte grazie, ma ritengo che noi deputati non dobbiamo accettare regali».
Solis è uno dei pochi esponenti della classe politica nazionale che possa vantare una solida immagine etica pubblica. Con un passato di socialdemocratico di sinistra, risulta convincente anche la sua coerenza ideologica: mentre altri colleghi del PLN hanno praticato il travestitismo e organizzato fiorenti think tanks neoliberisti, Solís ha mantenuto sempre una linea di critica al modello di politica economica imperante.
In campagna elettorale, il PAC ha avanzato sostanzialmente un programma basato su una proposta etica, sostenendo che: i vertici dei partiti tradizionali sono corrotti fino al midollo e non hanno l’autorità morale, né la volontà per sdradicare la corruzione; gli eletti si allontanano dagli interessi dei loro elettori ed esercitano il potere alle spalle del popolo, stipulando patti clientelari; è necessario cambiare la visione e la pratica della politica con una rigorosa ripresa della morale pubblica, tanto nelle grandi questioni – ad esempio, nella lotta alla mafia politico-imprenditoriale – come nelle piccole – eliminando privilegi, viaggi-premio, lauti pranzi, etc. –.
Il PAC ha proposto coerenza tra il discorso e la pratica, trasparenza e controllo sui conti, nonché la sistematica partecipazione civica nelle decisioni del potere pubblico, mediante una istituzionalizzazione della consulta e del dialogo sociale.
Solís ha accompagnato questo discorso con fatti concreti che gli hanno dato credibilità. In primo luogo, nel fondare il partito, si è circondato di personalità politiche dissidenti dai partiti tradizionali, tutti antineoliberisti e con una intaccabile aureola di pubblica onestà. Quindi, ha proibito le spese e la propaganda per l’elezione a deputato, convocando piuttosto le organizzazioni sociali, comunali, sindacali, affinché propones- sero candidati: nei fatti, circa il 50% degli eletti provengono da queste organizzazioni.
Inoltre, ha stabilito che il 50% dei seggi ottenuti dovesse andare alle donne: e difatti, dei 14 deputati eletti, 7 sono donne, come metà, del resto, delle decine di consiglieri comunali conquistati dal partito.
Il PAC ha approvato un codice etico che consente ai suoi deputati di fare un viaggio all’estero solo se il parlamento approva una mozione in tal senso, con tre quarti dei voti. Tale codice impedisce loro, inoltre, di usare veicoli statali, nonché consumare carburante, cibo e bevande pagati dallo Stato: tutti privilegi di cui godono attualmente i deputati.
E pure vietato è fare uso dei fondi di cui i rappresentanti dei partiti tradizionali dispongono per finanziare la propria rete clientelare in ambito locale.
Infine, è fatto obbligo agli eletti, finché esercitano le funzioni pubbliche, di rinunciare ad attività imprenditoriali o di altra natura, qualora siano incompatibili con le loro responsabilità legislative.
Sul piano ideologico, il PAC non ha ancora formulato una sua proposta di società, della quale, forse, non ha ancora chiari i contorni. Tuttavia, in un contesto dominato dalla retorica elettorale, il PAC è stato l’unica forza ad avanzare proposte precise ed notevoli di resistenza al neoliberismo: difesa di uno Stato che sia in grado di regolare il mercato, dove l’organo rettore della politica economica sia il ministero di pianificazione e non la banca centrale, e sia, quindi, capace di imprimere una direzione strategica all’economia, garantendo protezione sociale e salvaguardia ambientale; una chiara opposizione a privatizzare i beni pubblici considerati strategici, a favore di uno sviluppo autocentrato; ricorso a misure protezionistiche per sostenere la produzione interna; la richiesta che tutti gli accordi di libero commercio siano resi noti, discussi e emendati dal popolo, prima della loro approvazione dal parlamento.
Così, senza finanziamenti, ma basandosi sui contributi volontari dei simpatizzanti, nonostante l’ostilità dei mass-media il PAC è diventato in pochi mesi la terza forza politica, piazzandosi a pochi punti percentuali dai partiti tradizionali. Una vera impresa politica che soltanto un anno fa nessuno avrebbe previsto. Mentre la popolazione rurale e i poveri delle città hanno votato per i partiti tradizionali, specialmente per il PUSC, a votare per il PAC sono stati soprattutto ceti medi urbani, impoveriti dall’avanzata del modello neoliberista, con istruzione universitaria e media, quindi piuttosto colti e critici.
Il PUSC ha vinto grazie a PachecoPiù che sui programmi, la campagna elettorale dei partiti tradizionali, PLN e PUSC, si è centrata sulle immagini e caratteristiche personali dei candidati. Scottati dalle recenti lotte contro la privatizzazione dell’azienda di energia elettrica, i due maggiori partiti hanno evitato con cura l’argomento, mentre i loro candidati respingevano l’etichetta di neoliberisti.
In questo quadro, il PUSC è apparso favorito fin dall’inizio, sebbene fosse il partito di governo e nonostante il grigiore e lo scarso seguito popolare che hanno contraddistinto l’amministrazione di Miguel Ángel Rodríguez.
Chiave per il successo del PUSC è stato il profilo del candidato Abel Pacheco, che al pari di Ottón Solís è emerso come rappresentante della “antipolitica” tradizionale.
Psichiatra di professione, con una buona fama sul piano etico pubblico, Pacheco ha dapprima lanciato la sua precandidatura nel partito puntando su un discorso anticorruzione e argomentando la necessità di un rinnovamento interno, in aperta opposizione all’ex presidente Rafael Ángel Calderón Fournier, vero detentore del controllo dell’apparato di partito. Nello scontro interno, Pacheco si è imposto sul candidato appoggiato da Calderón, ma ha poi dovuto negoziare con l’apparato e accettare quasi tutti i candidati a deputato che questi gli ha proposto.
Uomo di valori conservatori, affabile e ingegnoso, chiaro nel parlare e buon comunicatore, Pacheco ha saputo “vendere” la sua immagine di uomo onesto distante dall’apparato e dal governo, un po’ sempliciotto ma ben intenzionato e fermo nelle sue decisioni.
Tale immagine è risultata convincente fra i settori culturalmente arretrati, delusi dalla politica tradizionale. I poveri delle campagne e delle città hanno, infatti, votato in maggioranza per lui.
Nel suo primo discorso come presidente eletto, ha ribadito le due tesi fondamentali esposte in campagna elettorale: «Questa è l’ora dell’abbraccio tra i buoni costaricensi, ma ciò non va confuso con la ruffianeria: i corrotti se la dovranno vedere con me. Sono qui per i poveri e gli emarginati, e governerò per loro».
La sconfitta di ArayaAl contrario del candidato del PUSC, il candidato del PLN, Rolando Araya, è stato percepito dall’elettorato come un tipico rappresentante della classe politica tradizionale, suscitando così cocenti delusioni. Politico di apparato, con fama di legami con quelle reti contro cui il popolo punta il dito, Araya è stato protagonista di un sinuoso percorso ideologico: socialdemocratico di sinistra prima, neoliberista ortodosso negli anni ‘90, al punto da proporre la dollarizzazione dell’economia come soluzione per il Paese, oggi, dopo la lotta contro la privatizzazione nel settore elettrico, preferisce definirsi antiliberista. Duro e petulante, si è presentato in campagna elettorale come un politico solido e navigato, lo “statista” che si è a lungo preparato per assumere la presidenza. Ma, non ha convinto i più. Chi ha votato per lui, più che per le sue doti personali lo ha fatto per quel poco di fedeltà al PLN che resta nei confronti di un partito dal passato memorabile.
Movimento libertario o liberista?Nonostante i pochi voti raccolti nelle elezioni presidenziali (1,69%), il Partito Movimento Libertario è riuscito ad eleggere 6 deputati, numero che può diventare significativo data la frammentarietà nel nuovo parlamento. Per questo, i mass-media lo definiscono il secondo partito “emergente”, dopo il PAC, dal quale tuttavia è radicalmente diverso. Sostenuto da sostanziosi finanziamenti di gruppi economici nazionali e stranieri, il Movimento Libertario è guidato da Otto Guevara, un deputato che difende religiosamente l’ortodossia neoliberista, al quale i mass-media hanno cucito addosso un’immagine di efficienza nell’impegno come parlamentare. Guevara si è fatto paladino della critica ai partiti tradizionali e, grazie alla sua fama di buon deputato, ha conquistato consensi fra strati di popolazione di scarsa cultura politica.