EL SALVADOR / Elezioni in vista, diplomazia in movimento
Di Roberto Cañas, corrispondente dal Salvador. Traduzione e redazione di Marco Cantarelli.
Fissate sul calendario dal Tribunale Supremo Elettorale le date chiave delle prossime elezioni, ogni partito politico sta già seguendo un suo calendario elettorale secondo gli statuti interni, condizionato dalle lotte intestine fra le varie correnti in lizza per le quote di potere, pensando ai candidati per i diversi incarichi. Tali preoccupazioni sovrastano l’elaborazione di programmi elettorali che offrano soluzione ai problemi della popolazione.
Partiti: una zuppa di sigleSono nove i partiti legalmente iscritti per partecipare alla contesa elettorale: ARENA, FMLN, PCN, PDC, PAN, PSD, AP, Fuerza e CDU. Altri sette si stanno organizzando in gran fretta, cercando di raggiungere tutti i requisiti per poter partecipare: UPS, SOL, PPR, PRD, AS, PNL, PM. Una zuppa di sigle in cui, paradossalmente, si esprime il disincanto con cui è visto il sistema politico e la perdita di credibilità e rappresentatività che sperimentano i partiti, tutti fattori che sembrano prefigurare un incremento del tasso di astensione. Del resto, nelle presidenziali del 1999, soltanto il 33,29% dell’elettorato andò a votare!
ARENA in “guerra”L’Alleanza Repubblicana Nazionalista (ARENA) continua ad essere il partito emblema della destra salvadoregna. Da tre mandati, cioè quindici anni, occupa la presidenza della Repubblica. Ora, si prepara a conquistare il quarto mandato nel 2004. I suoi principali dirigenti: Archie Baldocchie Dueñas (settore finanziario, Banco Agrícola), Roberto Murray Meza (settore finanziario-industriale: birra e bibite), Roberto Palomo (scarpe ADOC), Carlos Boza Delgado (rappresentante del Gruppo Poma, centri commerciali e alberghi, concessionarie di veicoli), Carlos Araujo Eserzki (parente stretto dello “zar” delle comunicazioni salvadoregne Boris Eserzki) e Ricardo Sagrera (asciugamani HILASAL), guidano le loro imprese e il partito e utilizzano l’apparato dello Stato per i loro affari.
Questi imprenditori considerano assolutamente necessario per il successo delle loro imprese che ARENA torni a vincere le elezioni. Sanno molto bene che l’uso patrimoniale dello Stato garantisce loro politiche pubbliche a favore dell’obiettivo di ogni impresa: ottenere il massimo profitto. E come la maggioranza degli imprenditori, dentro e fuori ARENA, essi non accettano di avere due responsabilità: fare soldi, ma anche contribuire al benessere pubblico.
Gli uomini di affari di ARENA hanno già trovato un buon “amministratore” che si occupi delle questioni elettorali: Francisco Bertrand Galindo, fino a poco tempo fa ministro degli Interni (Gobernación), nonché vicepresidente di ARENA dal settembre 2001, incaricato del settore ideologico.
La nomina di Bertrand Galindo permette agli imprenditori che dirigono ARENA di dedicarsi con fiducia ai propri affari, avendo scelto nella divisione elettorale del partito un “soldato”, un uomo della squadra del presidente che risponde pienamente al progetto di ARENA e che si dedicherà a pieno tempo a vincere le elezioni e recuperare i seggi e i Comuni persi negli anni scorsi.
Bisogna riconoscere al partito di governo la sua capacità di reinventarsi, sostituendo gli esponenti del partito nei posti di governo, pur in forma verticistica, dal momento che in ARENA non c’è democrazia interna. È, infatti, il Consiglio Esecutivo Nazionale (COENA) a nominare e rimuovere i funzionari, tanto nel governo come in parlamento. È il caso di Enrique Valdés, da poco entrato in politica, un illustre sconosciuto, un parto inatteso, un personaggio che da un giorno all’altro è passato da anonimo deputato supplente a fiammante capo gruppo parlamentare del partito.
ARENA è pronta ad iniziare la selezione di candidati a sindaco e deputato. Il COENA ha rivolto un appello alla propria base per condurre una “guerra” all’FMLN. Il messaggio di Bertrand Galindo è stato chiaro: «Voi avete una missione molto semplice: vincere le elezioni. La vostra unica missione consiste nel recuperare quei municipi che abbiamo perso e mantenere quelli che abbiamo».
FMLN: rottura profondaA meno di un anno dalle elezioni, il Fronte “Farabundo Martí” per la Liberazione Nazionale (FMLN) continua ad essere la forza politica elettorale più rappresentativa della sinistra e il principale partito di opposizione. Affronta la contesa elettorale segnato dalle dispute interne fra “ortodossi” e “rinnovatori”, che sono già arrivate al limite della rottura dopo la divisione del gruppo parlamentare, nel Dicembre 2001, e alla espulsione di cinque deputati, nell’Aprile 2002.
La rottura è profonda. I “rinnovatori” hanno abbandonato l’FMLN e parte di essi ha aderito al Partito Socialdemocratico (PSD), già Partito Democratico, il cui principale leader è stato Joaquín Villalobos. Altri “rinnovatori” hanno creato una nuova formazione: il Partito Movimento Rinnovatore (PMR), che il primo Aprile si è presentato al Tribunale Supremo Elettorale ed attende di poter iniziare la raccolta di 15 mila firme per essere legalmente iscritto.
Ancora non è chiaro se l’FMLN abbia o meno pronta una “squadra” elettorale in grado di affrontare con successo la congiuntura elettorale. Il sindaco della capitale, Héctor Silva, il candidato più in vista dell’FMLN per le presidenziali del 2004, potrebbe giocare la carta di ripresentarsi per la terza volta come candidato a sindaco di San Salvador, e in caso di vittoria, rinunciare poi all’incarico per lanciare la propria candidatura alla presidenza. Questione non facile, dal momento che il secondo mandato di Silva come sindaco non è stato così brillante come il primo e, inoltre, Silva dovrà scontrarsi con un buon candidato di ARENA.
Il consenso degli scontentiIl panorama politico-elettorale comprende, poi, la destra del Partito di Conciliazione Nazionale (PCN) e il Partito Democratico Cristiano (PDC), che prevedibilmente si disputeranno il voto degli scontenti di ARENA. Entrambi sono vecchi partiti che conoscono molto bene il sistema elettorale salvadoregno, disegnato apposta per favorire la rappresentanza di tre partiti in parlamento. Cercheranno di approfittarne, scommettendo su quozienti e residui. A questi due partiti di destra se ne aggiunge un altro in formazione: il Partito Popolare Repubblicano (PPR), sempre che riesca ad iscriversi in tempo. La sua presidente è la ex arenera Gloria Salguero Gross, la quale assicura che fra i 132 fondatori del nuovo partito vi sono esponenti provenienti da ARENA, PCN e PDC.
Nel centro e centro-sinistra, troviamo poi il Centro Democratico Unito (CDU) di Rubén Zamora, il Partito Social Democratico (PSD) e il citato PMR, ammesso che riesca a legalizzarsi in tempo. Questi partiti aspirano soprattutto a intercettare il voto degli scontenti dell’FMLN, degli indecisi e di quanti sono soliti astenersi. A tali formazioni, si aggiunge il “nuovo” Partito di Azione Popolare, già di Unificazione Cristiana, della famiglia Duarte e della vecchia guardia del PDC, che ha ceduto la direzione del partito a persone nuove per la politica, come il colonnello in pensione David Munguía Payés.
Nelle grazie di WashingtonMa ad essere agitato non è solo il panorama elettorale, ma anche quello diplomatico. In realtà, la diplomazia salvadoregna è stata sostanzialmente grigia durante i tre governi di ARENA, limitandosi a battersi perché il governo degli Stati Uniti prorogasse la scadenza di soggiorno temporaneo dei salvadoregni illegali negli USA. Tuttavia, dopo la visita del presidente Bush nel Salvador, il 24 Marzo scorso, si è cominciata a registrare un’insolita belligeranza nella politica estera salvadoregna, orientata fondamentalmente a entrare nelle grazie di Washington.
Infatti, il governo salvadoregno è stato il primo e unico Paese al mondo a dare il proprio avallo al governo provvisorio venezuelano, sorto dal colpo di Stato contro Hugo Chávez. Quindi, a Ginevra, El Salvador ha copatrocinato attivamente la proposta dell’Uruguay, che chiedeva l’invio di un “relatore” delle Nazioni Unite per verificare la situazione dei diritti umani a Cuba.
D’altro canto, la Corte Suprema di Giustizia del Salvador ha chiesto a Panamá l’estradizione del noto e acerrimo anticastrista cubano Luis Posada Carriles, protagonista di varie attività terroristiche, che due anni fa raggiunse Panamá grazie a documenti di identità salvadoregni e lì venne fermato con un carico di esplosivo alla vigilia di un vertice presidenziale, al quale ha assistito Fidel Castro. Dopo le critiche del presidente Flores a tale richiesta di estradizione, nessuno è più tornato sull’argomento, quasi scottasse.
L’appoggio ai golpistiIl presidente salvadoregno Francisco Flores ha espresso la sua posizione di fronte al colpo di Stato in Venezuela nel contesto del XVI Vertice dei Capi di Stato e di Governo del Gruppo di Rio, lasciando attoniti e sorpresi il resto dei presidenti, e provocando un terremoto politico nel Salvador, data la forma precipitosa oltreché sbagliata nella sostanza di tale posizione.
«Il nostro governo – ha dichiarato Flores – dà un voto di fiducia al popolo venezuelano e al governo di transizione; saremo vicini al governo di transizione. Diamo la nostra fiducia alla nuova leadership del Venezuela».
I partiti di opposizione hanno attaccato severamente il governo per l’appoggio ad un regime che ha governato per un lasso di tempo ridicolo. I deputati hanno chiesto spiegazioni al ministero degli Esteri, mentre il vice capogruppo parlamentare dell’FMLN, Manuel Melgar, ha chiesto all’Assemblea Legislativa di raccomandare al presidente di porgere le scuse diplomatiche al governo di Hugo Chávez. Cosa che Flores ha però escluso di voler fare, sostenendo con “genialità”: «El Salvador ha assunto una posizione differente rispetto al resto dei governi che si sono espressi sulla situazione venezuelana, perché si trova in una posizione differente». Quale? Giorni dopo, tuttavia, il ministero degli Esteri ha dovuto condannare in sede di Organizzazione degli Stati Americani (OSA) «l’alterazione dell’ordine costituzionale che ha patito e superato la Repubblica del Venezuela», riaffermando l’impegno di difendere la democrazia nel continente e lasciando così alle spalle l’incongruenza fra i principi di politica estera e i fondamenti della Carta Democratica Interamericana, approvata a Lima nel Settembre 2001 dagli Stati membri dell’OSA.
Con la Palestina nel cuoreLa posizione “differente” adottata nel caso venezuelano contrasta, peraltro, con la posizione di fronte ad altri conflitti mondiali. Per molti salvadoregni non è lontano sul piano emotivo il lontano, geograficamente parlando, conflitto arabo-israeliano. Per varie ragioni. Una risulta molto singolare: El Salvador e Costa Rica sono le uniche due nazioni al mondo che hanno aperto un’ambasciata non a Tel Aviv, ma a Gerusalemme: vale a dire, assumendo una posizione compiacente nei confronti di Israele che rivendica per sé l’esclusiva della “città santa” come capitale.
Per la prima volta, nel pieno di questo conflitto, il ministero degli Esteri salvadoregno ha chiesto la creazione in quella terra di «due Stati che vivano uno a fianco dell’altro, all’interno di frontiere riconosciute», secondo un comunicato ufficiale. Ciò ha spinto il capogruppo parlamentare dell’FMLN Schafik Handal, di origini palestinesi, a chiedere al presidente Flores di andare oltre, compiendo un altro passo: trasferire l’ambasciata salvadoregna da Gerusalemme a Tel Aviv. «Per la prima volta – ha dichiarato Handal – il presidente Flores ha sostenuto che vanno creati due Stati. Uno già esiste, ed è Israele. Di certo, il secondo cui si riferisce il presidente, deve essere la Palestina. Dopo queste dichiarazioni, il segnale che deve dare è lo spostamento dell’ambasciata da Gerusalemme a Tel Aviv».
Un altro fatto che rende molto vicina la Palestina al “pollicino d’America” sono le origini salvadoregne del sindaco di Betlemme, Hanna Nasser. Tanto che i sindaci dell’area metropolitana di San Salvador e del municipio di Cinquera, nel dipartimento di Cabañas, hanno inviato una lettera di solidarietà a Nasser, in cui esprimono anche la loro preoccupazione per la situazione dei quasi 300 cittadini di origini salvadoregne che vivono a Betlemme.
Anche la comunità salvadoregna di origini palestinesi, molto numerosa e con un discreto potere economico, si è pronunciata pubblicamente esigendo il ritiro delle forze di occupazione israeliane dai territori autonomi e il trasferimento dell’ambasciata salvadoregna da Gerusalemme a Tel Aviv, come gesto di rispetto e appoggio alla causa palestinese, che aspira a che Gerusalemme sia capitale condivisa da due Stati.