«Abbiamo fatto germinare le nostre idee per imparare a sopravvivere in mezzo a tanta fame, per difenderci da tanto scandalo e dagli attacchi, per organizzarci in mezzo a tanta confusione, per rincuorarci nonostante la profonda tristezza.
E per sognare oltre tanta disperazione.»


Da un calendario inca degli inizi della Conquista dell'America.
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NICARAGUA / “Le miniere non producono crescita, né sviluppo”

Víctor Campos, direttore del Centro “Humboldt”, organizzazione ambientalista nicaraguense, interviene sui limiti del modello estrattivista in Nicaragua; dove, a differenza del vicino El Salvador che l'ha proibita del tutto, l'attività mineraria industriale, in particolare l'estrazione di oro e argento, è in forte espansione; da poco, anche con il diretto coinvolgimento dello Stato; al solito, a beneficio di pochi, a scapito di gran parte della popolazione e a detrimento dell'ambiente.

Traduzione e redazione di Marco Cantarelli.

Nell'attualità, in America Latina si parla con frequenza e preoccupazione sempre maggiori dell'incremento del numero di industrie e attività estrattive (v. envío, n. 4, Aprile 2017; ndr). In Nicaragua, cresce l'estrazione di oro e argento; così come si vanno estendendo le coltivazioni intensive di palma africana, arachidi, cotone, banane, canna da zucchero, tabacco: tutte legate a pacchetti tecnologici che richiedono un uso intensivo di agrochimici tossici; in drammatico aumento è anche l'allevamento estensivo e lo sfruttamento delle foreste e della pesca.
Ma vediamo alcuni dati relativi alle attività più importanti per l'economia nazionale.

Le cifre ufficiali parlano di 40 mila ettari coltivati a palma africana e la tendenza è ad espandere questa coltivazione di altre decine di migliaia di ettari. Quali sono le caratteristiche comuni di queste coltivazioni? Occupano grandi superfici, favoriscono la concentrazione di terra in poche mani, fanno un uso intensivo di agrochimici tossici, danneggiano la qualità del suolo, riducono la disponibilità e la qualità dell'acqua, e nuocciono alla diversità biologica e alla biodiversità. L'impresa Cukra Development Corporation, responsabile della massiccia diffusione della palma africana, consuma (da sola, ndr) il 7% degli erbicidi importati a livello nazionale.
L'arachide fa uso di 22 tipi diversi di agrochimici, il riso di 8, mentre la canna da zucchero e il tabacco impiegano almeno 4 agrochimici in dosi sconosciute.
Nel rapporto annuale della presidenza della Repubblica, del Febbraio 2017, si legge che il governo ha agevolato l'importazione e la tipificazione di tali prodotti, creando nel Dicembre 2016 la Commissione Nazionale di Registro e Controllo delle Sostanze Tossiche. Tale commissione afferma di aver concesso 13.508 permessi di importazione di sostanze tossiche, il che evidenzia la politica del governo di promuovere le monocoltivazioni nel Paese.
La palma africana, detta anche palma aceitera (da cui si ricava olio, ndr) è relativamente nuova in Nicaragua. Negli anni '80 si cominciò a coltivarla a Boca de Sábalos, nel dipartimento del Río San Juan (nel Sud-Est del Paese, ndr). Il Centro “Humboldt” ha monitorato in particolare le piantagioni della Cukra Development a Laguna de Perlas (sulla costa caraibica, ndr). Questa impresa ha comprato terre dai piccoli proprietari, trasformandoli in operai agricoli nelle sue piantagioni. Inoltre, dà in affitto territori che appartengono alle popolazioni indigene e spinge i piccoli produttori che si resistono a vendere le proprie terre a coltivare anch'essi la palma, creando così dipendenza dall'impresa, l'unica in grado di processare questo frutto. In un recente rapporto del Centro “Humboldt”, si evidenzia come le acque di scarico della pianta industriale della Cukra Development non rispettino i parametri stabiliti dal decreto 33-95 sulle acque residuali degli impianti domestici, industriali e agricoli.
Un'attività in auge nel Paese da molto tempo è l'allevamento, principalmente estensivo; vale a dire, con poco bestiame per area di pascolo. Fra i suoi principali impatti: la distruzione di boschi, il degrado del suolo e dell'acqua. Uno studio dei suoli che il Centro “Humboldt” conduce ogni cinque anni dimostra come, fra il 2011 e il 2016, i pascoli siano aumentati di un milione di ettari, a scapito di aree anteriormente occupate da boschi o coltivate a granaglie.
Anche la coltivazione della canna da zucchero è in rapida ascesa nel Paese. Nel suo Piano di Produzione, Commercio e Consumo 2017/2018, il governo annuncia che l'area coltivata a canna da zucchero aumenterà di 3 mila ettari. Ma si ha motivo di credere che l'aumento possa essere maggiore, considerando che la zona che va dalla meseta di Carazo all'Oceano Pacifico (nel Centro-Ovest del Paese, ndr) si sta già convertendo a questa coltivazione.
Tendenza evidente anche in altre zone dell'Occidente del Paese, dove pure avanzano le coltivazioni di arachidi. Circa 30 mila ettari sono stati seminati a questo prodotto fra il 2011 e il 2016, facendo dell'arachide la coltivazione in più rapida espansione in Nicaragua negli ultimi anni; la quale impiega la più grande quantità e diversità di agrochimici tossici per unità di superficie, con conseguenti severi problemi di erosione eolica che contribuiscono alle sempre più frequenti tempeste di sabbia che investono l'Occidente del Nicaragua.
Nel Nord del Paese, inoltre, la gente sta sperimentando le conseguenze dell'aumento delle aree coltivate a tabacco: il municipio di Jalapa soffre di una grave crisi idrica, dal momento che il tabacco sottrae molta acqua al consumo umano.
Alla politica di promozione delle coltivazioni intensive va aggiunta l'introduzione di sementi transgeniche, ossia geneticamente modificate. Nel citato Piano di Produzione, il governo apre alle coltivazioni di mais giallo e soia transgenici. Ciò rappresenta un duro colpo alla piccola produzione contadina, dati il livello di dipendenza che si crea dalle imprese che commerciano questi prodotti e la contaminazione genetica che producono, specialmente nel caso del mais, che – va ricordato – è un alimento originario proprio di questi territori. La Alleanza Semi di Identità ha cercato di impedire l'introduzione di tali coltivazioni per i rischi che comportano: è necessario ora mettere in guardia sui possibili effetti che i prodotti transgenici possono provocare sulla salute di quanti li consumino.
Com'è evidente, questo modello economico è implacabile con l'ambiente e nuoce gravemente ai beni naturali basilari per la vita. La grande impresa privata considera queste attività produttive motori dello sviluppo, ma la realtà è che esse comportano un'enorme depredazione dell'ambiente, facendo sì che il rapporto costi-benefici sia sfavorevolissimo al Nicaragua, giacché non assicura la sua sostenibilità economica, sociale e ambientale. E sebbene in Nicaragua tale “modello di sviluppo” non abbia ancora raggiunto il suo punto massimo, il ritmo con cui tali attività avanzano è accelerato.
L'estrattivismo è stato scelto come modello di crescita economica e sinonimo di sviluppo, ma è un errore, perché senza sostenibilità ambientale non c'è attività economica che produca quello sviluppo di cui il Paese ha davvero bisogno.
Quella mineraria è un'industria estrattiva con gravi conseguenze ambientali e sociali. Tuttavia, la risposta a chi la critica è che non si può rinunciare all'attività mineraria, in quanto i suoi prodotti sono in ogni cosa che usiamo. Eppure, è così.
In Nicaragua, si estraggono metalli e altri materiali. Fortunatamente, non si estraggono metalli rari come il litio, il coltan (abbreviazione di columbite-tantalite o columbo-tantalite, minerali ampiamente usati, fra l'altro, nell'industria elettronica, ndr) e altri che causano gravissimi impatti ambientali e sociali. La minería metálica in Nicaragua estrae oro e argento. Quella non metallica, principalmente pietra e sabbia. Anch'essa ha un forte impatto ambientale, perché cancella la copertura boscosa e lascia “buchi” nel territorio nazionale.
Il Centro “Humboldt” non si occupa direttamente della minería no metálica, ma ciò che più preoccupa di questa attività è il disordine esistente nelle concessioni date dai sindaci a livello locale.
Per quanto riguarda, invece, l'attività estrattiva di metalli, il Centro “Humboldt” ha una lunga esperienza, essendo questa una delle sue principali preoccupazioni. Negli ultimi trent'anni abbiamo lavorato direttamente con le popolazioni interessate e continuiamo al fianco degli abitanti che si oppongono all'impresa britannica in Mina La India, municipio di Santa Rosa del Peñon, dipartimento di León, e con quelli che resistono alla Golden Reign Resources in Mina San Albino, municipio di El Jícaro, dipartimento di Nueva Segovia.
Ogni due anni il Centro “Humboldt” produce uno studio di impatto ambientale dell'attività mineraria nel Paese. L'arrivo delle imprese minerarie è sempre accompagnato da campagne mediatiche all'insegna della “minería para todos”, della “minería verde”, di una “nueva minería”... Ma bisogna essere chiari: ad oggi, non c'è in Nicaragua una sola miniera per l'estrazione di metalli a cielo aperto che non abbia provocato danni ambientali e sociali.
Né c'è trasparenza nelle operazioni tecniche e finanziarie del settore minerario.
L'attività mineraria industriale è altamente lucrativa. A differenza delle altre materie prime, il prezzo internazionale dell'oro non è strettamente soggetto alla legge della domanda e dell'offerta: ci sono altri fattori che intervengono in questo mercato sui generis. Attualmente, le stesse imprese minerarie hanno stabilito il loro punto di equilibrio intorno ai 700 dollari per oncia troy (unità di misura del sistema imperiale britannico, equivalente a 31,1034768 grammi, ndr) di oro. E siccome attualmente i prezzi internazionali dell'oro oscillano fra i 1.200 e i 1.300 dollari per oncia troy, ciò vuol dire che se le compagnie spendono 700 per estrarre un'oncia troy che poi vendono a quelle cifre, il margine di profitto è altissimo. Se si considera che in Nicaragua si producono annualmente circa 300 mila once troy di oro, i guadagni sono considerevoli.
Attualmente, tutte le concessioni minerarie sono per miniere a cielo aperto. Questo metodo di estrazione rimuove grandi volumi di terra per ottenere quantità minime di oro per ogni tonnellata di materiale: basti pensare che per estrarre un'oncia troy di oro si rimuovono 7 tonnellate di terra.
La vita di una miniera dipende dalle riserve comprovate di minerali in concentrazioni sufficienti che rendano economicamente redditizia la loro estrazione. La vita media delle miniere attuali è di circa 25 anni. A La Libertad, dipartimento di Chontales, è già stato estratto tutto l'oro che c'era, non ce n'è più. Ormai restano solo i buchi dove hanno scavato: dove prima c'era una collina ora c'è un buco di 200-300 metri di profondità. Succede così ovunque: quando finisce l'attività mineraria restano villaggi fantasma che hanno problemi economici e di accesso ad un'acqua di qualità; e così la popolazione è costretta ad emigrare per sopravvivere.
Il drenaggio acido è uno dei problemi ambientali più gravi che lo sfruttamento minerario lascia come sequela. Cianuro e mercurio sono impiegati per amalgamare l'oro. Si tratta di sostanze invisibili che finiscono nei fiumi e si infiltrano nelle acque sotterranee. Si tratta di sostanze molto tossiche che nuocciono a tutto l'ecosistema e, nel caso del mercurio, penetrano anche nei tessuti degli esseri viventi. Un manto acquifero contaminato da tali sostanze non può più essere bonificato.
Il Nicaragua ha una delle leggi più favorevoli agli investimenti minerari di tutta l'America Latina: in pratica, una delle più “accondiscendenti” all'industria mineraria. Quanto alla normativa ambientale, il Nicaragua è invece fra i Paesi più in ritardo, rispetto ad esempio alle legislazioni del Perú o della Colombia, che stabiliscono standards ambientali più alti, una maggiore imposizione fiscale e migliori sistemi di regolazione e controllo del settore minerario.
Nell'Aprile 2017, il Centro “Humboldt” e l'Istituto di Studi Strategici e Politiche Pubbliche (IEEPP) hanno presentato i risultati di un studio comune sul tema, dal titolo La minería industrial en Nicaragua - Una mirada desde la óptica fiscal, che offre dati importanti. Il contributo del settore minerario al Prodotto Interno Lordo (PIL) del Nicaragua è piuttosto piccolo: solo il 2,7%. L'attività mineraria genera appena lo 0,6% dei posti di lavoro “formali” del Paese: sia nella minería metallica che in quella non metallica, alla previdenza sociale (l'Istituto Nicaraguense di Sicurezza Sociale, INSS) risultano iscritti 4 mila lavoratori. E nonostante l'oro sia uno dei principali prodotti di esportazione del Paese – nel 2015, il prezioso metallo ha rappresentato il 15,4% delle esportazioni –, le entrate fiscali sono poco significative: il 3,6% del totale. E scarsi sono i legami con il resto dell'economia del Paese.
Che tasse paga l'industria mineraria? In primo luogo, l'imposta relativa al Registro Pubblico delle Proprietà: consiste in un versamento unico di 300 mila córdobas (circa 10 mila dollari al cambio attuale) al Municipio in cui si estende la maggior parte dell'area avuta in concessione. Il resto dei municipi compresi nell'area ricevono un versamento simbolico di 500 córdobas. Inoltre, si paga il cosiddetto Diritto di Vigencia a Superficie, che consiste in un pagamento progressivo per l'uso della superficie concessa, di 25 centesimi di dollaro per ettaro all'anno, fino a raggiungere i 12 dollari all'anno nel dodicesimo anno di attività. Inoltre, si paga il Diritto di Estrazione o regalías, che consiste in una compensazione economica allo Stato per il diritto di sfruttamento in superficie: la legge stabilisce una quota del 3% mensile su quanto la miniera esporta e fattura. C'è, poi, l'Imposta di Matricola Municipale, che consiste nel pagamento annuale del 2% sulla media mensile delle entrate lorde ottenute dalla vendita di beni o prestazioni di servizio degli ultimi tre mesi dell'anno precedente. Infine, si paga l'Imposta sul Reddito: in quanto “grande contribuente”, l'impresa mineraria è tenuta a pagare il 30% sulla rendita netta delle sue attività.
Le maggiori entrate fiscali generate dal settore minerario in Nicaragua si sono registrate nel 2015, anno record dell'attività mineraria nel Paese, quando è stato esportato oro per oltre 400 milioni di dollari, a fronte di imposte versate per appena 3,27 milioni di dollari. Se nel Paese restasse davvero il 3% di quanto esportato, le entrate sarebbero ben superiori, ma le esonerazioni riducono al minimo il contributo fiscale di questa industria.
La vigente legge sulle miniere risale al 2001, quando i prezzi dell'oro oscillavano fra i 300 e i 400 dollari la oncia troy. In realtà, tale legge è più un strumento di promozione dell'attività mineraria che un testo regolatore dello sfruttamento minerario. Al pari di altre leggi nicaraguensi approvate per attrarre investimenti, neanche questa è stata cambiata quando le condizioni di mercato sono cambiate. Le molte esonerazioni concesse alle miniere derivano da quella legge e non sono state modificate.
Ecco quali sono i benefici fiscali delle imprese minerarie:
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il Diritto di Estrazione o Regalía è considerato spesa deducibile ai fini del calcolo dell'Imposta sulla Rendita;
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come pure lo sono le spese relative alla Responsabilità Sociale d'Impresa;
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parimenti è deducibile dalla stessa imposta il 50% degli investimenti in piantagioni forestali;
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le esonerazioni riguardano, poi, l'Imposta sui Beni Immobili, il Diritto Doganale sulle Importazioni, l'Imposta Selettiva sul Consumo e quella sul Valore Aggiunto;
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i minerali estratti a fini sociali o per la realizzazione di opere pubbliche sono esonerati dall'imposta sul Diritto di Estrazione (Regalía);
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le esenzioni riguardano inoltre le imposte sull'importazione o sull'acquisto nel Paese di materiali, macchine e strumenti utili, utilizzati nel processo industriale;
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zero tassazione sulle esportazioni;
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libero accesso alla compra-vendita di moneta straniera disponibile e alla libera convertibilità di divise straniere;
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permesso per trasferimenti all'estero relativi al capitale investito, come pure per dissoluzione, liquidazione o vendita volontaria dell'investimento straniero;
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permesso per la remissione di qualsiasi utile, dividendo e profitto generato nel territorio nazionale, dopo il pagamento delle imposte corrispondenti.
Infine, secondo la legge 525, che ha riformato la legge 387 sulla esplorazione e sullo sfruttamento delle miniere, lo Stato si impegna a garantire la stabilità fiscale per gli investimenti nazionali ed esteri destinati all'attività mineraria.
Dal punto di vista ambientale, cosa esige la legge dalle imprese minerarie? Quando una di questa vuole iniziare le proprie attività in Nicaragua, deve realizzare uno studio di impatto ambientale, in due momenti, da presentare al Ministero dell'Ambiente e delle Risorse Naturali (MARENA), il quale deve approvarli. Il primo studio precede la fase di esplorazione, nella quale non sono previste opere fisiche maggiori, che abbiano ripercussioni ambientali come nella fase di sfruttamento. Nella fase di esplorazione, le imprese realizzano carotaggi: nei fatti, è la prima cosa che mette in allarme la gente. Nonostante gli impatti siano ancora modesti, l'impresa deve presentare uno studio di impatto ambientale. Quando viene confermata la presenza di oro nella zona, deve presentare una nuova valutazione di impatto ambientale, ricorrendo a consulenti autorizzati da MARENA.
Analizzando a fondo questi studi di impatto ambientale abbiamo potuto osservare come tutti siano abbastanza simili anche se corrispondenti a territori diversi; tutti applicano una sorta di manuale di protezione ambientale. Molti di questi studi sono copie testuali di libri di contenuto generico. Questi sono gli “studi” che vengono consegnati al MARENA, il quale, a partire da essi, elabora un piano di gestione ambientale e concede il permesso. E quasi sempre lo concede. Una volta iniziato lo sfruttamento, il MARENA deve dare seguito al piano di gestione ambientale, verificando di tanto in tanto che l'impresa stia rispettando le pur limitate misure ambientali stabilite nel piano. In conclusione, oltre al fatto che gli studi non sono sufficientemente specifici, il controllo delle autorità è minimo.
Le autorità nazionali hanno un atteggiamento piuttosto compiacente nei confronti delle imprese minerarie, per il timore che se ne vadano. Nonostante standards ambientali così bassi, non appena si chiede loro qualche piccola mitigazione del danno, generalmente si rifiutano di applicarla. Il piano di gestione ambientale stabilisce, per esempio, che quando una miniera chiude deve riforestare la zona in cui ha operato. Tuttavia, non conosco un solo caso in cui ciò sia successo. Di fronte a questa negligenza, abbiamo cercato di dimostrare alcuni casi di contaminazione provocati dall'industria mineraria. Abbiamo analizzato la qualità dell'acqua e dato seguito ai casi per via amministrativa, perché il Ministero chiedesse all'impresa di rispettare la normativa ambientale. Corrisponde, infatti, alle istituzioni del governo nazionale assicurare il rispetto del piano di gestione ambientale, garantendo il minor danno possibile all'ambiente. I cittadini sono ricorsi più volte per via amministrativa, con prove e risultati alla mano, ma ad oggi non è stato ottenuto alcun risultato, né è arrivata alcuna risposta dal MARENA.
Negli ultimi mesi, il quadro di riferimento per gli investimenti esteri nel Paese è mutato. Nel Giugno 2017, l'Assemblea Nazionale (il parlamento monocamerale, ndr), al fine di continuare a favorire gli investimenti nel settore minerario, ha creato per legge l'Impresa Nicaraguense delle Miniere (ENIMINAS). Si tratta di un'impresa pubblica attraverso la quale lo Stato di Nicaragua entra nel settore minerario. Alle consultazioni che hanno preceduto l'approvazione della legge sono stati invitati soltanto rappresentanti del Consiglio Superiore dell'Impresa Privata (COSEP) e di CAMINIC (Camara Minera Nicaragüense), la sua camera che si occupa di miniere, e di poche altre istituzioni governative interessate al tema.
Prima dell'approvazione di questa legge, circa il 10% del territorio nazionale risultava in concessione alle compagnie minerarie. Ora, a quella superficie si aggiunge un ulteriore 10%.
Quale territorio si è aggiunto? In base ad un decreto esecutivo del 2012 che stabilisce le aree di “riserve minerarie” comprovate e formalmente riconosciute dal Ministero dell'Energia e delle Miniere, la nuova legge sancisce che in tali “riserve” sarà lo Stato a decidere con quali imprese minerarie associarsi. Dunque, queste “riserve” sono ora sotto il totale controllo della nuova impresa statale. Ciò significa anche che le imprese cui lo Stato deciderà di associarsi saranno direttamente sotto la protezione delle autorità statali. Significa, inoltre, che, in questa situazione di privilegio, lo Stato fomenterà una competenza sleale con altre imprese minerarie già presenti sul territorio.
Inoltre, si è appreso che il Ministero dell'Energia e delle Miniere conta attualmente circa 1.800 richieste di nuove concessioni, in via di approvazione.
In poche parole, la nuova legge implica che lo Stato si riserva il meglio in termini di potenziale e ricchezza minerari nei territori che d'ora in avanti amministrerà. Fino a dove potrà spingersi? Chissà... È evidente il particolare interesse al settore minerario dei circoli di potere che controllano il capitale in Nicaragua.
Degli oltre 12 mila km2 di “riserva mineraria” stabiliti nella legge che istituisce ENIMINAS, 5.859 km2 sono già stati sanciti, mentre 6.515 km2 sono stati proposti, ma non ancora approvati. Delle aree di “riserva mineraria” ora aggiunte, 8.538 km2 si trovano in aree protette. Molte delle “riserve minerarie” si trovano praticamente al limite del nucleo e della zona di ammortizzamento della Riserva di Biosfera di BOSAWÁS (dalle iniziali di Bocay, Saslaya e Waspuk, nel Nord del Paese; ndr).
Dopo l'approvazione della legge su ENIMINAS abbiamo fatto due conti per capire cosa ci sia nelle aree di “riserva mineraria” attualmente in lista e in attesa di essere date in concessione. Fra boschi chiusi e secondari ci sono oltre 400 mila ettari a disposizione della nuova impresa, che selezionerà il miglior socio e li darà in concessione per sfruttarli. Ecco una lista provvisoria dei municipi in cui metà o più della loro superficie si trova nell'area di riserva mineraria: Wiwilí, San José de Bocay, Waslala, Rancho Grande, Jalapa, El Jícaro, Telpaneca, San Juan del Río Coco, Mozonte, Macuelizo, Ciudad Antigua, La Sabana...
Particolare importanza per il suo valore storico ha la concessione della miniera San Albino, nel municipio di El Jícaro, dipartimento di Nueva Segovia, fatta alcuni mesi fa dal governo all'impresa canadese Golden Reign Resources. In questa miniera iniziò (nel 1926, ndr) la sua lotta nazionalista e patriottica il Generale Sandino. Quando, qualche anno dopo, la miniera venne abbandonata, un terreno che da anni avrebbe dovuto diventare patrimonio storico, è dato oggi in concessione ad una compagnia mineraria che provocherà, come sempre, seri danni ambientali e sociali (da questa miniera a cielo aperto si progetta di estrarre 250 tonnellate di materiale al giorno, per ricavare 6 grammi di oro la tonnellata, ndr).
Né a San Albino, né altrove, la popolazione ha smesso di reagire a questo scempio. Vorrei ricordare alcuni degli atti di resistenza più rilevanti, dal 2013 ad oggi.
Il 22 Marzo 2013, per impedire l'arrivo dell'impresa B2Gold a Rancho Grande si è svolta una massiccia manifestazione di protesta, forte dell'appoggio di 32 organizzazioni, in testa la Chiesa Cattolica.
Il 13 Ottobre dello stesso anno, una seconda manifestazione di protesta ha visto la partecipazione di 2.500 persone.
Intanto, il 1° Agosto 2013, un'altra manifestazione di protesta inscenata a Santo Domingo, dipartimento di Chontales, municipio in cui l'attività mineraria è presente da secoli, è finita con l'arresto di 12 persone.
I movimenti che si oppongono alle miniere coltivano diversi interessi. Ci sono, ad esempio, i Guardiani di Yaoska, movimento nato nel municipio di Rancho Grande, dipartimento di Matagalpa, zona dove non ci sono mai state miniere e la gente non ne vuol sapere. Lì, la resistenza è radicale: non fanno entrare nella miniera.
In municipi come Santo Domingo, dove c'è sempre stata attività mineraria sia industriale che artigianale, ci sono conflitti fra queste due modalità di estrazione perché, sebbene la legge stabilisca che i piccoli minatori e quelli artigianali possano sfruttare fino all'1% della concessione della grande impresa privata, non è specificata l'ubicazione esatta di questo 1%. Il conflitto è permanente. Anche a Santo Domingo esiste un movimento – “Salviamo Santo Domingo” – che lotta per l'ambiente e per l'acqua. Questo municipio godeva di una fonte d'acqua eccellente e ora, invece di avere il servizio di acqua potabile 24 ore al giorno, ce l'ha solo per 4 ore quotidiane, giacché quella fonte è stata contaminata dall'impresa mineraria. Il movimento dice: “vogliamo acqua, non oro”, e per questo lotta. Così che a Santo Domingo, una cosa è la lotta dei piccoli minatori nei confronti dell'impresa e altra è il movimento civico che lotta in difesa dell'ambiente.
Nella protesta dell'Agosto 2013 a Santo Domingo, le 12 persone arrestate appartenevano ad entrambi i gruppi. Sono state mantenute illegalmente in stato di arresto per 15 giorni a Managua, in condizioni infraumane. Una denuncia in tal senso è stata presentata alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani dell'Organizzazione degli Stati Americani. Alla fine, sono stati rimessi alla giudice di Juigalpa (capoluogo dipartimentale di Chontales, ndr), dove si sono svolte manifestazioni di protesta fino a quando sono stati liberati.
Il 6 Maggio 2015, a Bonanza, si sono verificati duri scontri fra minatori artigianali (güiriseros) e autorità, provocando un'ondata di proteste. I güiriseros sono sempre esistiti nella zona, ma con l'aumento del prezzo dell'oro sono cresciuti molto di numero.
Bisogna aggiungere che anche la piccola attività mineraria e quella artigianale contaminano. Se per separare l'oro dagli scarti e amalgamarlo la minería industriale adopera il cianuro, altamente tossico e contaminante di suoli e acque, i minatori artigianali usano il mercurio, parimenti tossico e contaminante. Ci sono alcuni gruppi della piccola minería e di quella artigianale che ricorrono a tecniche meno inquinanti per ottenere l'oro, ma ancora non fanno la differenza.
Non direi che i piccoli minatori siano contro la cura dell'ambiente. Ma la loro attività, altrettanto contaminante, li mette di fronte ad un dilemma. Nella realtà, la piccola attività mineraria è stata un modo di vita di molta gente in Nicaragua. Essa si è stratificata e ha sviluppato un alto grado di intermediazione. Nel piccolo minatore che si arrabatta e sfrutta direttamente l'oro abbiamo notato una certa disposizione a migliorare le sue pratiche ambientali. Ma sopra di lui c'è una catena di intermediari che subcontrattano minatori per estrarre il materiali grezzo che poi essi lavorano, cui va gran parte dei profitti. Il risultato di tutto ciò è che le rivendicazioni dei piccoli minatori e di quelli artigianali sono diverse, anche se complementari a quelle delle grandi imprese. Solo in alcune occasioni entrambi i gruppi si uniscono di fronte alle grandi compagnie minerarie.
Anche il 6 Ottobre 2015 si sono verificati duri scontri presso la miniera El Limón. I manifestanti chiedevano all'impresa il rispetto dei diritti dei lavoratori. Le tensioni sono durate vari giorni, con il bilancio di un morto e 32 feriti. Nel sollevamento scatenatosi dopo l'arresto di vari uomini, protagoniste sono state le donne, che il 18 Ottobre hanno sfilato per le strade del paese: una di esse, ritratta in una foto che ha avuto grande diffusione nel Paese, è riuscita a disarmare uno degli agenti antisommossa inviati a reprimere i manifestanti. In quell'occasione sono stati arrestati 10 minatori, che non sono stati messi a disposizione del giudice, ma trasferiti anch'essi a Managua, nel carcere di El Chipote, dove sono rimasti in condizioni infraumane fino al 24 Dicembre di quell'anno – vale a dire, 56 giorni di detenzione illegale –, quando sono stati “generosamente” liberati, in barba al sistema giudiziario, grazie ad un ordine personale del presidente Ortega, che per l'occasione sostenne che «il Natale è un'epoca di incontro delle famiglie nicaraguensi». Da allora, nonostante vari tentativi, non siamo riusciti a parlare con quei minatori, cui è stato proibito di rilasciare dichiarazioni, non si sa per quali motivi.
Il 4 Ottobre 2015, inoltre, oltre 3 mila persone hanno manifestato a Rancho Grande contro l'arrivo della B2Gold nel municipio e 9 giorni dopo, il 13 Ottobre, il governo ha dichiarato “inviabile” il progetto minerario di Cerro Pavón: una vittoria straordinaria che stiamo ancora celebrando, ma che sarà dura da difendere perché sono in ballo altre 7 concessioni a Rancho Grande, 3 delle quali alla B2Gold; e quella dichiarata “inviabile” è soltanto una. Alcune di queste concessioni sono passate a “riserva mineraria”, a seguito della nuova legge che conferisce tutta la potestà allo Stato. Resterà “inviabile” tutta l'attività mineraria a Rancho Grande? Nulla di certo in Nicaragua, quando la decisione dipende dalle autorità governative. Tuttavia, abbiamo fiducia nel movimento di Rancho Grande che è fermamente deciso a difendere il proprio territorio.
Il più recente conflitto scaturisce dalla denuncia arbitraria fatta dall'impresa britannica Condor Gold contro 7 difensori ambientali a Mina La India, nel municipio di Santa Rosa del Peñón, dipartimento di León. L'impresa ha dovuto recedere dal processo davanti ad un popolo che non ne vuol sapere, accompagnato dal Centro “Humboldt” e dal Centro Nicaraguense dei Diritti Umani (CENIDH).
Ora inizia un'altra fase della lotta. Alle imprese straniere dà enormemente fastidio che si parli mali di esse nei media dei loro Paesi di origine. Otto colonne sulla stampa di Managua che denuncino le arbitrarietà della Condor Gold a Mina La India hanno un impatto minore di un trafiletto su The Guardian o altri media britannici. Sappiamo, inoltre – ed è un dato rilevante di interesse internazionale –, che l'8% del pacchetto azionario della Condor Gold è detenuto dal Banco Mondiale (attraverso il suo organismo per gli investimenti nel settore privato, la IFC: International Finance Corporation; ndr). E secondo dichiarazioni della sua rappresentante in Nicaragua, la IFC si propone di arrivare a detenere fino al 20% del pacchetto azionario della miniera.
È giusto dire “no” su tutta la linea alle attività minerarie? A questa domanda occorre dare una risposta come nazione. La nostra posizione istituzionale è che non vadano date concessioni a miniere a cielo aperto in luoghi che non siano i distretti minerari tradizionali, men che meno nel bacino del Río San Juan e in altre aree protette. Come istituzione lavoriamo con tutti, con la gente che si oppone al 100% alla minería e con quella che lotta per migliorare le cose dove già ci sono le miniere. Abbiamo appreso che avere un solo punto di vista sul settore minerario non è la migliore opzione.
Recentemente, nel Salvador, è stata varata una legge che proibisce del tutto l'attività mineraria (vedi envío, n. 6, Giugno 2017; ndr). Credo che questo risultato si spieghi con il fatto che, là, tutti i settori del Paese, di tutte le ideologie politiche, hanno compreso che porre fine allo sfruttamento minerario era una questione di vita o di morte. Se la legge è così radicale è perché nell'immaginario del popolo salvadoregno nel suo insieme c'è la consapevolezza che il Paese ha una base troppo ridotta di risorse naturali e ambientali.
In Nicaragua è differente. Nell'immaginario del popolo nicaraguense è radicata l'idea che viviamo in un Paese con risorse naturali infinite. Nei discorsi di qualsiasi opinion leader nicaraguense – politico, imprenditoriale, religioso, sociale... – la solfa è sempre la stessa: “Siamo un Paese benedetto da Dio, ricchissimo, abbiamo di tutto...”. Ma questo non è più vero. Abbiamo sempre meno risorse, perché le stiamo distruggendo. Dobbiamo modificare tale immaginario. Nel caso del settore minerario, dobbiamo agire con il maggior senso di urgenza perché la distruzione sociale ed ambientale che causa questa industria colpisce grande parte della popolazione.
A conseguenza dell'accelerata espansione dell'attività mineraria nel Paese, senza regole e con privilegi, negli stessi giorni in cui veniva approvata la legge istitutiva dell'impresa ENIMINAS, il 22 Giugno 2017, si è formato il Movimiento Nacional Ambientalista Frente a la Minería Industrial, integrato da vari territori in resistenza – Santo Domingo, Rancho Grande, Nueva Segovia e Mina La India –, che contano varie organizzazioni locali che cominciano ad articolarsi. Il Movimento è retto da una giunta direttiva di 4 uomini e 4 donne, che guideranno il processo di consolidamento. Si tratta di qualcosa di inedito nel Paese, giacché finora i movimenti territoriali erano dispersi e non eravamo mai riusciti ad articolare un movimento nazionale sulla questione mineraria.
Al pari di quello contadino contro il progetto di canale interoceanico, questo movimento sociale è di tipo nuovo in Nicaragua. Non ha vincoli partitici, né cerca una prospettiva elettorale, ma lotta per diritti e rivendicazioni importanti non solo per esso, ma per tutta la nazione. Questi due movimenti sociali emergenti hanno dimostrato che la mobilitazione sociale non solo è possibile. Ma anche necessaria per raggiungere risultati fondamentali per tutta la nazione nicaraguense. Per questo, infondono speranza e nuove energie per continuare a lavorare per costruire un Nicaragua migliore.

 

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