NICARAGUA / Ortega si guarda allo “specchio venezuelano” e cerca di guadagnare tempo
Due mesi e mezzo di “negoziazioni” hanno evidenziato come Daniel Ortega non abbia alcuna voglia di risolvere la crisi. La via violenta è scartata dalla maggioranza della popolazione che ha optato, invece, per una resistenza civica. Ma anche la prospettiva elettorale, che andrebbe negoziata con Ortega, appare incerta. In questo quadro, la pace con giustizia, democrazia e libertà appare lontana. Mentre la crisi politica impedisce al Paese di trovare una via d'uscita anche alla recessione economica.
Traduzione e redazione di Marco Cantarelli.
Il Nicaragua non è tornato alla “normalità” previa all'Aprile 2018 neanche per un giorno. L'economia, stagnante e senza prospettive di ripresa, subisce ogni giorno colpi: aumentano i disoccupati, i debitori morosi, le imprese che chiudono; mentre i prodotti della canasta basica sono sempre più cari e fuori dalla portata di molte famiglie nicaraguensi. All'approssimarsi della stagione delle piogge – cambiamenti climatici permettendo –, il ciclo agricolo non può contare sui crediti produttivi che sarebbero necessari per la semina. Inoltre, nelle zone coltivate a caffè – il principale prodotto di esportazione nicaraguense – la crisi appare drammatica a seguito della caduta del suo prezzo sul mercato internazionale.
Alla recessione economica si somma la repressione poliziesca, che non cessa e, anzi, miete ogni giorno nuovi arresti.
Uno degli slogan più frequenti nel corso delle massicce manifestazioni dell'opposizione nel 2018 era “qual è la rotta?”, cui seguiva l'altrettanto gridata risposta: “che se ne vada lui!”, cioè Ortega. Un anno dopo, con le carceri ancora piene e le strade ormai vuote, molti si chiedono quale sia il cammino da seguire perché il Nicaragua trovi una via d'uscita. Domanda che risuona nei vicoli ciechi delle istituzioni totalmente controllate da Ortega, che lo sostengono e gli permettono di perpetuarsi al potere.